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In una tale prospettiva, nel caso di minore-parte offesa (la cui deposizione ben può essere assunta anche da sola come fonte di prova della responsabilità), si spiega, nella prospettiva di controllo sulla «credibilità soggettiva», la possibilità di procedere alla verifica dell'«idoneità mentale» (articolo 196, comma 2, del c.p.p.), rivolta ad accertare se il minore stesso sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti.
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Trattasi, in ogni caso, di indagine psicologica particolarmente proficua in materia di reati sessuali, ma sicuramente non obbligatoria in mancanza di elementi che giustifichino una pretesa incapacità della vittima, pur se bambino.
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Inoltre, pur nel caso di accertamenti peritali disposti ex articolo 196, comma 2, gli esiti di questi, da un lato, non precludono affatto l'assunzione della prova dichiarativa (come espressamente enunciato al comma 3 dell'articolo 196, che fissa il principio dell'insussistenza di una necessaria cronologia temporale tra l'assunzione della testimonianza e gli accertamenti stessi), e, dall'altro, non possono comunque avere alcuna valenza deterministica ai fini decisionali, vigendo il principio che non è possibile demandare a uno o più periti la verifica dell'attendibilità del testimone e che spetta pur sempre al giudice il vaglio critico delle nozioni acquisite attraverso l'attività svolta dai periti” (Cass. pen., Sez. III, 06/03/2003, n.36619)
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Il secondo aspetto da valutare, e cioè la veridicità del racconto del minorenne, è strettamente legato al primo (capacità di deporre) e non meno problematico.
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Nella maggioranza dei casi, dovuti purtroppo al fatto che spesso i minorenni siano testimoni di abusi sessuali da loro subìti, la sede più appropriata per l'esame del testimone minorenne è l'incidente probatorio, con le garanzie costituzionali e processuali riservate a tutte le parti del processo.
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In tale sede, sotto il profilo della veridicità del racconto, bisognerà preventivamente valutare la modalità per l'escussione del testimone.
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Non v'è dubbio alcuno, che il Giudice che avrà disposto l'incidente probatorio, ordini che si proceda con tutte le cautele possibili, perché anzitutto devono essere tutelate le esigenze del minorenne. Egli può stabilire particolari modalità per procedere all'incidente probatorio, che reputi necessarie od opportune.
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Fra queste particolari modalità di assunzione della prova, ad esempio rientra sicuramente anche la forma scritta, laddove sia consigliata o imposta dall'esigenza di proteggere la fragile emotività del minore e di assicurare nel contempo la genuinità della deposizione:
“Il ricorso alla forma scritta, non costituisce una lesione del principio del contraddittorio, giacché all'incidente probatorio partecipano necessariamente il pubblico ministero e il difensore dell'indagato e ha diritto di partecipare anche il difensore della persona offesa (articolo 401, comma 1, del c.p.p.), e tutti costoro hanno diritto di proporre al giudice le domande e le contestazioni da rivolgere al testimone ai sensi del combinato disposto degli articoli 401, comma 5, e 495, comma 4, del c.p.p.
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Questa forma scritta, inoltre, neppure configura una deroga al principio dell'oralità, dovendosi intendere per tale il principio, fondamentale nel rito accusatorio, che vieta le prove scritte precostituite, cioè formate fuori del processo, mentre nella suddetta modalità di svolgimento dell'incidente probatorio la prova non si viene precostituita fuori del processo, ma si forma nell'udienza camerale in contraddittorio tra le parti” (Cass. pen., Sez. III, 25/05/2004, n.33180).
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Ma “ l'inesistenza nel sistema normativo di preclusioni o limiti alla capacità del minore a rendere testimonianza (art. 196 c.p.p.) non affranca il giudice dal dovere di controllarne le dichiarazioni con impegno assai più solerte e rigoroso rispetto al generico vaglio di credibilità cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone.
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In particolare, nei reati a sfondo sessuale - dei quali il minore è frequentemente vittima e il suo contributo non è normalmente sottraibile alla ricostruzione del fatto - il giudice deve accertare la sincerità della testimonianza del minore, con l'esercizio di una straordinaria misura di prudenza e con un esame particolarmente penetrante e rigoroso di tutti gli altri elementi probatori di cui si possa eventualmente disporre.
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A tal fine, può rivelarsi necessario il ricorso agli strumenti dell'indagine psicologica per verificare, sotto il profilo intellettivo e affettivo, la concreta attitudine del minore a testimoniare, la sua credibilità, la sua capacità a recepire le informazioni, a raccordarle tra loro, a ricordarle e a esprimerle in una visione complessa, da stimare in relazione all'età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei suoi rapporti familiari.
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E ciò anche al fine di escludere che una qualunque interferenza esterna, talvolta collegata allo stesso ambiente domestico nel quale l'abuso sessuale non di rado si consuma, possa alterare la genuinità dell'apporto testimoniale ” (Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003, n.19789).
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In conclusione, come si è visto, non esistono riferimenti normativi e quindi processuali, tali da delimitare i confini entro i quali debbono essere valutati i due elementi fondamentali per procedere all'esame del testimone minorenne (capacità di testimoniare e veridicità delle dichiarazioni).
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Tuttavia, grazie al contributo fondamentale della psicologia, della psichiatria, della neuropsichiatria infantile, della criminologia, della giurisprudenza di merito e di quella di legittimità, l'esame testimoniale del minorenne è ormai prossimo a quelle garanzie costituzionali di tutela poste alla base del nostro (non perfetto) sistema giuridico.
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