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In merito a siffatta connessione, il significato di esposizione ultradecennale, legano l’aspetto temporale con quello di attività professionale sottoposta al citato modello di salvaguardia previdenziale (artt. 1 e 3 del D.P.R. n. 1124 del 1965), viene ad compromettere, per forza, quello di pericolo e, più esattamente, di pericolo patologico rispetto alle malattie, quali esse siano, che l’amianto è in grado di causare per la sua sussistenza nel luogo di lavoro; probabilità, questa, tanto pregiudizievole da portare la legge, sia anche per scopi preventivi, a stabilire la soglia massima di concentrazione di amianto nel luogo di lavoro, che evidenzia il limite del pericolo di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e seguenti modificazioni)”.

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Dobbiamo poi, evidenziare che pure il lavoro della Corte Costituzionale ha ottenuto delle critiche. Difatti, con pronuncia n. 434/2002 la Corte sosteneva la costituzionalità della esclusione dal beneficio dei soggetti già in pensione al momento dell’entrata in vigore della l. n. 257/92, rifiutando il valore alla contestazione per cui dei benefici potevano mentre usufruire i soggetti in pensione dopo l’entrata in vigore della norma, ma che avessero maturato i punteggi per l’ottenimento della pensione prima di quel momento, “ ‘visto che [la prescrizione] trova motivazione nel criterio generale per cui le prestazioni vengono liquidate sulla base della normativa vigente al momento della medesima liquidazione’”

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La nuova materia del Welfare, CMM, 2008, p. 45, cui si fa riferimento per l’analisi precisa dei giudizi della Corte). Analisi che spiazza parte della Corte, che, come rammenta G. NAPOLITANO, “I dipendenti esposti all’amianto”, cit., pp. 459-60, n. 5, ha determinato ampie critiche da parte della disciplina, “in merito al ‘sostegno’ concesso in maniera inaspettata dalla giurisprudenza restrittiva della Cassazione, un ‘colpo di grazia’ ai benefici previdenziali”. Cfr. P. NODARI, “Amianto e irripetibilità delle prestazioni effettuate”, in LG, 2003, 11, p. 1026; R. RIVERSO, “Vecchie e nuove ingiustizie per i dipendenti esposti all’amianto”, in LG, 2002, 8, pp. 706 e ss. Cassazione, 18 novembre, 2004, n. 21862, in FI, 2005, I, col. 3416, cit. in SFERRAZZA, cit. p. 126. Cfr. Cass., 15 maggio 2002, n. 7004, in FI, 2002, I, col. 1972, cit. in SFERRAZZA, cit. p. 127:

“Né può ritenersi – come anche si è dichiarato in dottrina – che una tale considerazione andrebbe a rendere neutrale la rilevanza dei precetti delle leggi sull’assicurazione necessaria contro gli incidenti sul lavoro e le patologie professionali, le quali […] identificano i lavori pericolosi come quelli che “…tuttavia espongono a fibre d’amianto”, e alla cui stregua, quindi, il beneficio della riconsiderazione a livello contributivo dovrebbe attribuirsi per tutti i dipendenti inclusi in contesti produttivi in cui si presenti comunque una dispersione di fibre di amianto.

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Queste indagini, difatti, non considerano che la legge n. 257-92 prevede con particolare prescrizione (art. 3) […] quale sia la concentrazione massima di fibre di amianto “respirabili” nei luoghi lavorativi, dichiarando in tal modo di considerare non sufficiente, alle conseguenze delle misure di salvaguardia emesse nelle sue varie prescrizioni per la circostanza di “esposizione all’amianto”, la sussistenza della sostanza in quantità tale da non determinare l’obbligo di mettere in atto protezioni particolari.

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Inclusa e analizzata in questo ambito, la normativa del comma 8 dell’ art. 13, nella sezione in cui prescrive che la ammessa riconsiderazione riguardi l’intero arco lavorativo subordinato all’assicurazione obbligatoria contro le patologie professionali provenienti dall’esposizione all’amianto, attuata dall’Inail”, non può considerarsi diversamente che nel senso di prevedere la conduzione di una delle attività sottoposte ad assicurazione obbligatoria all’Inail […] ma con soglie di esposizione uguali (o superiori) a quelli che la normativa 257-92 ritiene pericolose, senza in tal modo ad cozzare con le disposizioni del modello assicurativo, le quali si riferiscono alla necessità – propria di siffatto modello e non in analogia con quella soggetta all’assegnazione dello specifico beneficio di previdenza di cui si parla – di salvaguardare il dipendente contro il prodursi di una patologia professionale.”

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Cfr. M. MM, Interpelli lavoro, cit.: “comunque il “limite” delle 100 fibre/litro è stata considerato adottabile pure da prima della criticata giurisprudenza di Cassazione, invece tutt’al più, per necessità concettuale, poteva essere considerata adottabile quella molto inferiore delle 2 f/l prescritta a livello generico dal D.M. 6 settembre 1994 quale pericolo generale che la legge considera trascurabile (Trib. Bologna, 18 giugno 2004, in LG., 2005, 257 con nota di M. MM).”

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