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In buona sostanza, era evidente, a parere di coloro (gli avvocati) che si battevano per ottenere il riconoscimento giurisprudenziale della sussistenza della continuazione in favore degli autori di delitti, che trovassero nello stato di tossicodipendenza il loro fondamento eziologico, che la tesi della valenza probatoria riconnettibile alla tipologia d'autore, ricongiunta con i reati aventi ad oggetto gli stupefacenti, doveva trovare nei giudicanti una definitiva accettazione.

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Simile orientamento rimaneva, purtroppo, lettera morta, tale era, sul punto, la costante posizione di rigetto della giurisprudenza.

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La Suprema Corte reiteratamente affermava, infatti, che “ In tema di continuazione nel reato, l'unicità del disegno criminoso non può essere ravvisata nella proclività al delitto né in un generico programma delinquenziale, quale può considerarsi quello implicito nell'esigenza di procurarsi i mezzi per soddisfare la tossicodipendenza, mancando in tal caso la previsione delle singole azioni criminose nell'ambito del progetto delinquenziale unitario ”. (Cfr. Sez. I, sent. n. 3004 del 15 Ottobre 1992, Pisano rv 192021 ).

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La condizione di assuntore continuativo di droghe e, quindi, soggetto palesemente dipendente dalle stesse, nonchè, quindi, il modus operandi – sul piano strettamente criminoso – che da tale situazione si poteva derivare, veniva sic et simpliciter equiparato ad un generico programma delinquenziale, pertanto, inidoneo a configurare l'unicità del disegno criminoso.

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Veniva, inoltre, affermato il principio che “ Lo stato di tossicodipendenza e la violazione di una medesima norma penale non sono sufficienti a far ritenere la continuazione tra reati determinati da tale condizione psicofisica, in quanto trattasi di circostanze concernenti i singoli reati, come tali non dimostrative della loro preventiva e unica ideazione, ma soltanto rivelatori di una scelta di vita delinquenziale del soggetto interessato ”

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A bene osservare, quindi, si poteva concludere nel senso che l'impostazione ermeneutica del Supremo Collegio oscillava (in modo pericolosamente contraddittorio) fra l'accusa di genericità ed indeterminatezza del programma criminoso del tossicodipendente e, all'opposto, quella di parcellizzazione dei singoli reati, i quali deliberati, di volta in volta, sarebbero sfuggiti ad un disegno di natura unitaria.

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Unico dato certo e non controverso era quello della “ feroce ” opposizione dei giudici di legittimità a che si potesse fare rientrare nel contesto dell'art. 81 c.p., l'insieme di fatti che avessero la comune e soggettiva matrice sin qui ricordata.

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Indicativa in tal senso appare la sentenza della Sez. VI, n. 8858 del 30 Luglio 1998, Cannavò (rv 212006), la quale pone sottilmente l'accento sul fatto che lo stato personale del soggetto appare sintomatico solo del movente e non assolve alla funzione di prova dell'identità del disegno criminoso. “

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