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L’esistenza di dispositivi di videosorveglianza nei condomini è un fatto in continuo sviluppo, e appunto la nuova riforma del condominio, inclusa nella Legge 11 dicembre 2012, n. 220, chiamata "Modificazione al regolamento del condominio nei palazzi" ha immesso nel Codice Civile l'art. 1122 ter, in base a cui "il collegamento sulle parti condivise del palazzo di sistemi tesi a permettere la videosorveglianza su di essi sono accettate dall'assemblea con la prevalenza numerica di cui al secondo comma dell'articolo 1136".
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Nondimeno, sebbene questa norma, la Corte di Cassazione, sezione II, con la recente pronuncia 3 gennaio 2013, n. 71, ha identificato un’eventuale eccezione a tale norma se si verificano alcune condizioni.
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Nel caso trattato dalla Suprema Corte, un condomino, dinanzi ad atti dannosi, legittimamente segnalati, e per ostacolare altre azioni analoghe, aveva badato a montare un impianto di videosorveglianza della zona condominiale riservata a parcheggio e della connessa entrata.
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Dinanzi ai costi pagati ogni condomino corrispondeva quanto dovuto, fatta eccezione per una organizzazione, appartenente al condominio, che confutava questa corresponsione.
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Il problema veniva sottoposto al Giudice di Pace di Catanzaro che, con verdetto 6 ottobre 2005, n. 1536, imponeva all'organizzazione la corresponsione a vantaggio dell'agente della quota di pagamento dei costi anticipati.
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Contro questa pronuncia la parte perdente avanzava ricorso in Cassazione, affermando che, in base alla norma di cui all'art. 1134 c.c., nel nostro sistema giuridico vi è una norma secondo cui, in materia di condominio, i costi connessi alle parti condivise devono essere legittimati dall'assemblea o dal responsabile condominiale e, in assenza di tale permesso, i costi pagati dal singolo condomino non può essere risarcito, tranne in caso di spese di emergenza, premessa non esistente nella fattispecie.
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L'organizzazione inoltre accusava una presupposta infrazione della privacy in base a quanto stabilito dall'art. 615 bis c.p., perché il montaggio della telecamera era stato fatto senza l’accordo dei soggetti le cui figurazioni ed i cui dati sarebbero stati coinvolti.
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La Corte di Cassazione con verdetto 3 gennaio 2013, n. 71, ha respinto il ricorso punendo la ricorrente ai costi del giudizio di liceità.
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Secondo i magistrati della Suprema Corte, difatti, nel caso analizzato, così come stabilito anche dal magistrato di primo grado, esisteva l’esigenza e l'emergenza di proseguire al montaggio della telecamera, e ciò era giustificato anche dal fatto che tutti gli altri condomini avevano versato la propria parte.
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Inoltre, rispetto alla presupposta violazione della privacy delle persone filmate, la Suprema Corte ha affermato l’insussistenza degli estremi per la rappresentazione del reato di ingerenze illegali nella vita personale (art. 615 bis c.p.) se una persona esegue video della zona condominiale riservata a parcheggio e della connessa entrata.
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Riferendosi infatti a un precedente approccio, nel verdetto si sottolinea che essendo zone riservate all’uso di un numero indefinito di soggetti, è da estromettersi la protezione di cui all'art. 615 bis c.p., che riguarda i soli casi in cui ci sia uno specifico legame della persona con la zona in cui egli svolge la sua vita personale, in maniera da allontanarla da interferenze esterne a prescindere dalla sua presenza.
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