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In dettaglio: tutti gli atti, documentazione e decreti concernenti l’iter di conciliazione sono esonerati dalla tassa di bollo e da ogni costo, imposta o diritto di qualsiasi tipologia e carattere; il resoconto di accordo è esentato dalla tassa di registro entro il limite di valore di Euro 51.646,00; alle parti che pagano il compenso agli enti autorizzati a eseguire l’iter di conciliazione è ammesso un credito d’imposta proporzionato al corrispettivo medesimo, fino alla somma di Euro 500,00, che deve essere definita – a pena di decadimento – nella dichiarazione reddituale.
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Nell’ipotesi di esito negativo della conciliazione, il credito d’imposta è ammesso in misura limitata alla metà; se la conciliazione è requisito di procedibilità della richiesta, le parti che posseggono i requisiti per l’accettazione al patrocinio a spese Statali sono esentate dal versamento della retribuzione che spetta all’ente di pacificazione.
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La legge qui analizzata, si apre a trame di dibattuta costituzionalità proprio in quanto immette un sistema deformato che si potrebbe chiamare di “giustizia sanzionatoria”.
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Credo, su questo punto, che l’art. 13 sia una chiara infrazione del diritto di azione giudiziale tutelato dalla costituzione poiché la parte, dinanzi ad un’offerta di conciliazione, viene portata nello stato di essere quasi costretta ad accogliere la medesima, pure nel caso in cui non rispetti completamente le sue richieste, per la paura che la pronuncia conclusiva sia adeguata in tutto o parzialmente alla stessa offerta, con i dannosi effetti che proverrebbero a suo svantaggio.
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Difatti, con specifico riguardo alle contese di misurata valenza economica, l’adozione del regime di sanzione indicato dall’art. 13 potrebbe provocare, per la parte che respinge l’offerta, la corresponsione di costi processuali di somma perfino più alta in rapporto all’importo ottenuto per il pregiudizio al proprio diritto.
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La circostanza presentata a titolo dimostrativo, per nulla di scuola, sarebbe inammissibile in un sistema giuridico civile oltre che assurda perché il soggetto che ricorre ai giudici per conseguire la protezione del suo diritto, anche nel caso in cui questa protezione venga concessa, potrebbe non avere nessuna validità ed anzi una sottrazione economica in termini di corresponsione di costi per il processo.
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Infine, sembra utile sottolineare che la disposizione esaminata, per le motivazioni descritte, è in netta opposizione con la ratio della direttiva europea n. 52/2008 perché raggira la natura della stessa, consenziente alla conciliazione.
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Difatti, non si può certamente far riferimento alla ratio conciliativa e di pacificazione quale mezzo onesto di composizione delle contese, se poi si immette un sistema per cui la parte è portata quasi nel dovere di “accogliere” la pacificazione.
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Conclusioni. Terminando questa sintetica disamina, credo di poter dare un parere negativo rispetto all’iter della conciliazione forzata che, in relazione alla prassi, avrà come sola conseguenza quella di ampliare ancora di più i tempi delle contese.
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Difatti, non si capisce perché mai il Legislatore, in visione di deflazione, continui ad adottare riforme effettive spargendo sempre più il procedimento verso la risoluzione extragiudiziale della contesa di prove di pacificazione, quasi come se il soggetto non avesse più l’autonomia di conseguire un riscatto giudiziale del danno avuto ma dovesse obbligatoriamente accordarsi.
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Dunque, credo che l’iter di conciliazione obbligatoria è in netta opposizione con l’art. 24 Cost. perché la parte poter liberamente sempre e in ogni caso scegliere di intervenire in giudizio e lo Stato dovrebbe concedere ai suoi cittadini organizzazioni adeguate ad avere giustizia in un periodo razionale.
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Per questo, ritengo che non si dovrebbe più agire sul “piano concreto” dell’organizzazione del processo, passando ad azioni importanti sul “piano organico”, ossia aumentando il numero degli Uffici Giudiziari e in particolar modo ampliando il numero dei giudici che formano le strutture di tali Uffici.
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A ciò si accluda che, la direttiva europea è stata ricevuta in senso contorto nel nostro sistema giuridico perché, il D. Lgs. n. 28/2010 ne raggira la ratio di approvazione verso la pacificazione poiché adotta dei procedimenti come quello in tema di costi, che spingono la parte a ravvisare nella pacificazione, non un mezzo alternativo di soluzione della controversia, ma un effettivo “onere” a fronte del rischio e dei ritardi del giudizio e del pericolo di essere soggetti a pesanti pene processuali.
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Nella mia professione di vice procuratore onorario, ho avuto modo di prendere parte a numerosi processi in cui il soggetto indagato era tale per avere intenzionalmente compiuto il reato presunto e sanzionato dall’art. 612 c.p., primo comma: questo era incriminato di aver fatto temere un’iniqua lesione alla “presupposta” parte lesa tramite la concessione a questa, di dichiarazioni di ricatto.
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Esaminando i miei fascicoli di appunti che uso sempre per essere convenientemente cosciente in udienza, di accuse concernenti tale reato ne ho rinvenuto una considerevole raccolta che va dai ricatti più comuni e semplici, come: “ti uccido”, “ti faccio cessare di vivere”, “ti crepo”, “te la faccio vedere”, “vedrai cosa ti succederà”, “ci penso io a insegnarti qualcosa”, “ti anniento con le mie mani”, “ti sparo”, ecc., a quelle più “stuzzicanti” in quanto ravvivate e spesso bizzarre come:
“Farò del male ai tuoi parenti partendo dal più fragile!” (frase detta da un’ ottantaquattrenne!);
“Gli sparo con il revolver, col fucile, prendo il mitra, gli tiro un razzo terra-aria” (armamento questo sicuramente rinvenibile in tutti i migliori supermarket!);
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“Ti taglio il collo, ti colpisco, ti danneggio l’auto e ti rovino la casa (che senso ha colpire il cadavere di un soggetto ammazzato con un colpo alla gola e poi danneggiarne auto e casa?); “Tu e quella palla (n.d.r.: da calcio) prima o poi farete una fine cattiva; prima o poi risarcirete con gli interessi”; “...ma una mattina ti attendo e ti punto un coltello indosso e ti schiudo come una tenca (tinca)” pronunciata da una donna malata di turbe psichiche che “ricattava chiunque”, per consuetudine e senza motivazione evidente;
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“Tizio sei un cattivo, tu sei un cattivo e Dio ti sanzionerà, la mano di Dio sarà agghiacciante su di te e sui tuoi parenti, Tizio la mano di Dio ti spezzerà, te e i tuoi parenti non esisterete più, i tuoi beni ereditati non vivranno”; “Te la farò pagare a lungo, vai pure denunciare, hai cominciato una battaglia vedrai cosa ti succederà”; “Ti farò pagare quello che mi hai provocato e ti renderò l’esistenza complicata”;
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“Ti faccio balzare in aria” (dopo aver rapinato l’esplosivo in qualche scavo di marmo della Toscana?).
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