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Adesso arriviamo ad una conclusione: considerato che la speciale lievità ex art. 34, non va considerata in senso stretto, ma, nell’ambito del favor rei, come un settore più ampio di quello che si evidenzia con un orientamento connesso soltanto al significato delle espressioni, possiamo fissare un criterio logico che può essere considerato almeno per la stragrande maggioranza delle circostanze di minaccia:
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le minacce ex art. 612, primo comma, c.p. sono, per regola, sempre tenui o lievi (in effetti la loro consumazione avviene in maniera istantanea!) e, tenendo presente parte dell’assunto del primo comma dell’articolo in questione, occasionali, colpose, cagionanti un danno molto lieve.
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Da questo deriva che, il Giudice di Pace dovrebbe cominciare lo stadio preliminare del giudizio, dopo accertamento della effettiva costituzione delle parti in questione, presentando, come prima norma, la dichiarazione di non perseguibilità per la tenue gravità dell’evento, tutto questo in applicazione dell’art. 34; soltanto venuto meno siffatto tentativo, si dovrebbe fare riferimento al tradizionale tentativo di riappacificazione.
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Secondo criterio, che sicuramente proviene dal primo, é quello rispetto al quale a minaccia di speciale lievità (dando a questa espressione un significato esteso pro reo) o pure lieve, deve associarsi una condanna di particolare tenuità o tuttavia lieve e dunque, il danno eventuale da risarcirsi, eventualmente, dovrà per forza essere commisurato in tal maniera, senza tralasciare che il danno emergente, il lucro cessante ed il danno morale si dovranno accertare e quantificare da parte civile, per cui le liquidazioni del danno, dovranno essere, per regola, d’entità ben limitata.
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A tal proposito la persona che deciderà di sottoporre a sentenza un altro soggetto, saprà che dal Giudice di Pace riceverà soltanto giustizia..pensate quali saranno i risultati!
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Il secondo criterio rispetto a quanto evidenziato alle pagine sette ed otto, é il seguente:
tra le particolarità della minaccia rilevante, ho inserito quella dell’efficacia lesiva continuata poiché ritengo che fino a quando si possa individuare un danno derivante dal comportamento minaccioso (e senza danno alle libertà non si può ritenere danno) siffatto debba essere di rilievo giuridico, per cui è necessario che le conseguenze della minaccia siano ragionevoli, e che si possa effettuare una vera e propria valutazione, che riguarda la durata, identificabile nel particolare stato d’animo derivante dalla volontà di circoscrivere in futuro la totale espressione della propria libertà psichica e morale, e/o nel “costo” delle misure che sono state adottate per difendersi da una lesione del genere.
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Acquisito siffatto criterio si giungerà alla logica considerazione che il metro di giudizio della condanna per la minaccia non sarà soltanto la “gravità” del minacciato, accettata dalla Cassazione, ma pure le sue conseguenze nel tempo, come nel reato di lesioni.
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