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Ad esempio, la Suprema Corte, Sez. IV, con la sentenza 9 Marzo 1995, n. 4423 Scommegna, (in Cass. Pen., 1996, 1616, Giust. Pen., 1996, II, 496 Guida al Diritto, 2003, 39, 69) ebbe ad affermare che “ in tema di detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope, la prova della destinazione ad esclusivo uso personale, al fine di escludere l'applicazione di sanzione penale, può essere tratta dal giudice da qualsias i elemento emergente dagli atti, spettando all'imputato solo un onere di allegazione volto ad attivare nel giudicante il potere-dovere di valutazione ”.

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Ciò valse a sostenere, quindi, che i confini degli apporti probatori delle parti venivano, in questa maniera, delineati in modo assai netto ed inequivoco, al riparo da ogni forma di stravolgimento interpretativo.

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Veniva, altresì, riconosciuto all'imputato (ed alla sua difesa) non già un dovere di dimostrare la propria innocenza, bensì un potere (rectius una facoltà) di attivarsi a confutazione dell'addebito mosso, laddove l'accusa pubblica fosse stata in grado (facendo bene il proprio mestiere) di prospettare elementi concreti di finalizzazione in favore di terzi della condotta detentiva.

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Principio, questo, accolto ancor più radicalmente, in progresso di tempo dalla giurisprudenza di merito, di cui si segnala la sentenza della Corte d'Appello di Milano, 18 Giugno 2001, che affermò come non può dirsi raggiunta la prova in ordine alla responsabilità per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti laddove non siano acquisiti univoci elementi di prova in ordine alla finalizzazione allo spaccio, non potendo al riguardo ritenersi indici sufficienti il quantitativo non modico nè una precedente condanna per il reato di importazione di stupefacenti, laddove la situazione di persona dedita all'uso di stupefacenti e il quantitativo tale da non giustificare un viaggio all'estero per finalità di illecito commercio rendono verosimile che l'importazione sia avvenuta per uso personale (conformi Trib.

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Il principio che, quindi, si ricava globalmente dalla sentenza del Tribunale di Nola è quello in base al quale il parametro valutativo si deve articolare sui seguenti punti.

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Si deve ravvisare la preliminare presenza di un fumus di sussistenza di profili di reato nella condotta attribuita all'imputato .

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Tale elemento non pare, però, di per sé solo sufficiente, in quanto la regola di giudizio di cui all'art. 192 co. 2 c.p.p., impone che gli indizi, valutati in giudizio, presentino i requisiti della gravità, precisione e concordanza, e, quindi, appare inidonea a giustificare una pronunzia di condanna fondata su di una mera prospettazione astratta di responsabilità.

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La prova di responsabilità, poi, non può essere affatto presunta. Essa, cioè, deve provenire, dimostrando certezza e chiarezza espositiva in ordine all'iter ideativo del giudice, da elementi di fatto o diritto a costui forniti dall'accusa, in adempimento del proprio potere dispositivo, quando non si debba ricorrere al dettato di integrazione probatoria di cui agli artt. 423, 441/5° o 507 c.p.p. .

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